STREET ART NEI MUSEI?
La street-art, ormai, è accettata e ricercatissima dai musei. In questi mesi Roma ospita tre importanti street-artist: Shepard Fairey e Sten e Lex sono in mostra presso la Galleria d’Arte Moderna a Roma, mentre il Chiostro del Bramante a Roma, dedica una personale, rigorosamente certificata (Pest Control), a Banksy, indiscutibilmente uno dei più celebri street-artist odierno.
Cosa significa, però, andare a vedere una mostra di street-art in un museo? Un viaggio non fatto, a Los Angeles, Londra, New York, Parigi, nei pressi del muro di Gaza, o, più semplicemente, in certi quartieri delle proprie città. In questo senso i musei rendono possibile l’illusione di viaggiare, di astrarsi dal proprio quotidiano per conoscerne altri, il più delle volte distanti o nascosti. A prescindere dall’origine inizialmente illegale della street-art, il museo la rende accessibile. L’impegno politico di Obey the Giant viaggia anche attraverso i musei e l’indagine estetica della urban art di Sten e Lex trova un dialogo fertile con opere di altre epoche. Qualcosa si perde, inevitabilmente, quel carattere irriverente, spontaneo e di protesta rimane per strada. Nei musei c’è l’impegno nel condividere e tramandare la cultura. Fatalmente in tali istituzioni tutto è incorniciato, etichettato, schedato e assicurato.
I tre autori in mostra sono molto diversi fra loro e il taglio espositivo della Galleria d’arte Moderna differisce sensibilmente da quello del Chiostro del Bramante.
STREET ART – POLITICA
Al termine di una qualsiasi giornata si può ammirare “Defend Dignity” (2019), uno dei murales più grandi di Shepard Fairey, uno street-artist conosciuto anche con il nome Obey the Giant. L’opera non è al MOCA, ma in un generico parcheggio di Los Angeles, nei pressi di South Park. Il lavoro comprende il ritratto di Maribel Valdez Gonzalez, una docente texana di origini messicane che introduce nelle classi programmi incentrati sulle diverse identità americane e i diritti umani. Il volto femminile è ripreso dalla fotografia di Arlene Mejorado, un’artista fotografa di Los Angeles, attivamente impegnata per i diritti degli immigrati. Il murale racchiude anche slogan come: “Welcome visitors”, “Immigration control and family life” e ”Indorses immigration (…) as debate is set”.
L’iconografia è immediatamente comprensibile. In lontananza la statua della libertà vista da Ellis Island di New York, il motto “People power”, raffigurato con il pugno alzato contrasta l’“Ideal power”, rappresentato dalla comunicazione radio intorno al globo. Un’estetica etica, politica e pratica, perché mira a stimolare la riflessione delle persone su temi sociali e concreti. Shepard Fairey si schiera apertamente in politica. Lo dimostra il manifesto “Hope”, a supporto della campagna elettorale alla presidenza degli Stati Uniti d’America di Barak Obama nel 2008 (link). L’artista usa ogni opportunità per promuovere il suo impegno civile, a difesa dei diritti umani, di uguaglianza etnica e di genere.
I dialoghi della Galleria d’Arte Moderna – Obey the Giant
Obey the Giant è totalmente incluso negli spazi museali, come se Giulio Turcato, Bruno Saetti e Carla Accardi avessero invitato l’artista americano ad esporre insieme a loro. Lo street artist cura, con Claudio Crescentini, Federica Pirani e la galleria Wunderkammern, un percorso dialogico, di riflessione e confronto. Visitando “3 Decades of dissent” è possibile osservare Maribel Valdez Gonzalez accanto alla donna ritratta da Giacomo Balla nel “Il dubbio” (1907-1908). I due sorrisi suscitano una forza dalla duplice natura, fiera in un caso e intima nell’altro. Se è vero che nelle mostre di street art si lascia sempre qualcosa per strada, è altrettanto vero che ammirare Obey accanto a Balla è possibile solo a Roma, in questa particolare mostra della Galleria d’Arte Moderna.