Cosa c’entra questo articolo in un blog che parla con leggerezza di arte e immagini?
- Potrei rispondere che il video che ritrae la morte di George Floyd YouTube è già parte di una certa memoria iconografica collettiva;
- Potrei analizzare il metodo di ripresa “verticale” che esplicita il mezzo attraverso il quale è stata fatta: uno smartphone;
- Potrei approfondire, analizzando la fugacità della ripresa stessa: i passanti–filmaker sono “invitati”, per così dire, dai poliziotti ad allontanarsi.
- Potrei analizzare il momento in cui si è compita questa uccisione insensata: alla luce del giorno.
- Mi chiedo in continuazione come mai si è ripreso invece di intervenire e fermare un atto così insensato quanto violento? Era possibile intervenire ed evitarlo?
“Immagini malgrado tutto” è il titolo di un saggio nel quale l’autore, Georges Didi-Huberman, analizza le immagini più spaventose del ‘900, provenienti dal campo di sterminio di Auschwitz. L’importanza di un’iconografia, malgrado l’inferno reale che rappresentano è utile nella speranza che certe cose non accadano più.
Il 25 maggio 2020 George Floyd muore per soffocamento durante un arresto a Minneapolis. Un passante ha filmato tutto e il video è online su YouTube (link YouTube). Le considerazioni possibili sono molteplici: da quello politico, a quello dei poteri concessi alla polizia, non dimenticando l’aspetto sociale. George Floyd è afroamericano e, negli USA, questo sembra essere la causa principale della sua morte. Le parole del sindaco della città, infatti, sono state: essere nero negli Stati Uniti non dovrebbe essere una sentenza di morte.
La scena ripresa ha fatto il giro del mondo: George Floyd prima di morire, con un filo di voce, comunica che non riesce a respirare. Il poliziotto, pavido, continua la sua presa soffocante, con un ginocchio posto sul retro del collo di George Floyd, un uomo già atterrato di spalle. Arriva l’ambulanza, il poliziotto molla la presa ma l’uomo è già privo di sensi. Lo girano e si scopre che George Floyd è stato ammanettato tutto il tempo.
Cosa avrei fatto io se mi fossi trovata a passare di lì? Non lo so, però me lo domando lo stesso. Che il video sia servito come prova è palese. L’atto di filmare è stato, in quel momento, attivismo politico, erica dell’informazione e di denuncia? Forse ha significato molte cose. Probabilmente la consapevolezza di assistere a qualcosa di irripetibile e il desiderio di testimoniarlo guida la mano di chi ha premuto “play” sul telefono. George Floyd è davvero esistito, non è solo un’immagine sullo schermo di un telefono. Chi ha ripreso ha scelto, forse inconsapevolmente, di filmare la morte in diretta e di condividerla con il mondo tramite YouTube. Al di là del perbenismo e dei giudizi affrettati mi chiedo cosa avrebbe ripreso l’occhio di Dziga Vertov oggi. Cosa avrebbe condiviso?

Immagine 1: Dziga Vertov
Immagine 2: “Prenez une Camera et descendez dans la rue” maggio 1968 – manifesto
Il video mi comunica un senso di atemporalità, per quei minuti il punctum è continuo: George Floyd “è morto e sta morendo”, (Roland Barthes).